La luna splendeva alta nel cielo intorbidito dalla nebbia. Si stava sforzando di conservare la lucidità, ma era impossibile con tutto quel sangue che scendeva copioso dal suo petto. Non voleva cedere, altrimenti tutto sarebbe stato inutile, tutta quella guerra non sarebbe servita a nulla. Si spostò una ciocca di capelli impregnata di sangue dal viso. Aveva combattuto, aveva dato il meglio di se stessa, ma non era stato sufficiente. E ora non poteva stringere tra le mani la vittoria perché non era più in grado nemmeno di tenere dentro di se la vita. Respirare iniziava a essere sempre più difficile. Si sedette sulla terra morbida appoggiandosi al tronco di un albero. Tutto iniziava ad annebbiarsi. Sentiva freddo, il genere di freddo che preannuncia la morte. Mentre il corpo le si stava intorpidendo, un ultimo pensiero prese forma nella sua mente: vendetta. Non avrebbe mai permesso che chi le aveva fatto questo la passasse liscia! Sollevò una mano, e se la portò al seno, intingendola nel sangue. Guardò la luna, e poi posò lo sguardo sulla sua mano, rossa e fumante per la vita che se ne stava andando. Stava perdendo lentamente i sensi, mentre scivolava sempre di più verso l'oblio, rivide nella sua mente il viso di chi le aveva fatto questo mentre rideva con disprezzo. Si riscosse con decisione. Raccolse le sue ultime energie nella mano che teneva ancora appoggiata alla ferita, strinse il pugno imbrattandolo il più possibile di sangue. Usando il sangue come pigmento, con le ultime forze che aveva, dipinse dei segni sulla nuda terra. Ora non restava che il collegamento pensò. Aveva bisogno di qualcosa che la legasse a quel bastardo. C'era quel ciondolo. Gli era rimasto nell'altra mano, lo stringeva così forte che dalla rabbia se l'era conficcato nel palmo senza neanche accorgersene. Guardò nuovamente i segni che aveva tracciato: un cerchio con una stella a cinque punte inscritta al suo interno. Depose il pendaglio, che aveva strappato al suo nemico, nel centro della stella. Era il momento. Si concentrò, gli occhi l'abbandonavano ma non importava, tra poco tutto sarebbe stato finito, avrebbe potuto riposare. Svuotò la mente, respirò profondamente, il suo corpo venne percorso da dolorose fitte provocate dalle ferite. Doveva mettere tutto nella stella. Sapeva bene come funzionava l'aveva fatto altre volte, ma non così, non prima di morire, non con tutto il suo odio. Ritornò con la mente indietro nel tempo, raccogliendo e unendo in un unico punto della sua anima tutto il dolore, tutta la sofferenza, tutta la disperazione, e tutto l'orrore che avesse mai provato. Dalla profondità del suo corpo, iniziò a sgorgare un urlo. Non era per il dolore della ferita, non era per il corpo straziato dalla lotta e dalle mutilazioni, era per tutte le ingiustizie che aveva dovuto subire, per tutti bocconi amari che lei e il suo popolo avevano dovuto sopportare in quegli anni di schiavitù. E poi lei, ancora. Il viso dolce di bambina. Gli occhi innocenti impauriti. La lama che cala inesorabile su di lei. E l'abito bianco tradizionale, portato dalle minori, spiccare nella pozza di sangue in cui giace riversa. La testa spaccata, gli altri uomini che ridono con disprezzo. Non era una bambina. Era la SUA bambina. Ed era perché altre bambine come la sua potessero avere un futuro che aveva combattuto. Era per questo che aveva tenuto duro, stretto i denti, resistito. Ma aveva fallito, e aveva disonorato il suo popolo fuggendo dopo la sconfitta, senza incontrare un'onorevole morte sul campo di battaglia con tutte le altre sorelle guerriere. Non aveva salvato la sua gente, non aveva difeso le piccole, non aveva protetto le anziane, e ora sarebbero state schiave. Schiave per sempre a servire un tiranno. Non poteva accettarlo. Non avrebbe mai potuto darsi pace. Nemmeno lo spirito della Signora della Notte l'avrebbe mai perdonata, lo sapeva. L'avrebbe incontrata nell'aldilà, e le avrebbe dato la dannazione eterna per tutte le sue mancanze. Ma non sarebbe stata sola, avrebbe portato quei bastardi con lei. All'inferno.Il male era lì, come una voragine, vorticava su se stesso, separato dal resto dei suoi pensieri, concentrato in un punto della sua mente. La stava perforando, come un tumore stava distruggendo anche lei stessa. Non avrebbe potuto resistere a lungo così, il suo corpo era tenuto in vita ormai solo dal suo desiderio di vendetta, e la sua coscienza era lacerata dal rituale. Immerse di nuovo la mano nel suo sangue. Chiuse il pugno, lo alzò fino alla bocca e ci soffiò dentro il suo ultimo respiro. Poi tremante, colpì con tutta la sua forza il centro della stella, rompendo il ciondolo e riempiendo di schizzi di sangue. Liberò se stessa dal tormento. Riversò tutto il Male che aveva concentrato. Ora la mente e il corpo potevano finalmente trovare la pace. Ora finalmente poteva morire, riposarsi per sempre. Risalendo dalle profondità di quel corpo martoriato, un ultimo grido le si fece strada nella gola. Pochi attimi prima che il desiderato silenzio scendesse nel suo cuore, l'urlo giunse fino alla bocca:“UOMINI! IO VI MALEDICO TUTTI!”
***
Oggi, nessuno si avventura più in quelle lande nebbiose e pericolose. I pochi folli che hanno osato anche solo avvicinarsi al luogo dove morì la regina del Popolo della Notte, giurano di aver sentito ancora oggi riecheggiare le grida della Madre mentre maledice tutti gli uomini per l'eternità.Si dice che il suo spirito inquieto ancora oggi persista in questo mondo, senza darsi pace, per porre fine nel modo più atroce possibile, alla vita degli uomini dal cuore malvagio che si avventurano in quei boschi. Si racconta anche che coloro che furono maledetti dalla Madre e avevano portato dolore al suo popolo, morirono in circostanze inspiegabili. Uno dopo l'altro scomparvero, e con loro si estinsero anche tutti i loro discendenti, miseramente.
mercoledì 16 marzo 2011
Maledizione
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